Viaggio al centro dell’Ordine dei Giornalisti del Lazio
Ci accingemmo di primo mattino e con buona lena a percorrere la distanza che separava Roma Sud-Est da Roma Centro, un pellegrinaggio irto di insidie ma dalla valenza quasi spirituale, grazie soprattutto ai 23 gradi all’ombra e alla difficoltà a reperire parcheggi con striscia bianca, leggendari come certi miraggi. La destinazione era l’Ordine dei Giornalisti del Lazio, sito che, nell’età dell’innocenza e dell’ingenuità legalizzata, mi ero immaginato adorno di colonne greche sormontate da capitelli corinzi, fontane zampillanti cultura e verità, decorato con tappeti e arazzi intessuti con fili d’oro e trame di sapienza. Giunta, dopo molte peripezie e lotte e fotocopiatrici impazzite, nel luogo di cui sopra mi accorsi della sua straordinaria somiglianza con il catasto di Sgurgola e me ne dolsi. Io e la mia compagna di viaggio entrammo. Ci accolse un uomo in camicia rossa, pantaloni scuri, cinta di pelle e borsello con fiaschetto per i momenti più duri.
– “Scusi, signor Garibaldi, sa dirci a quale piano si trova il Supremo e Stimabilissimo Ordine dei Giornalisti di Regione Lazio?”.
– “Seguite i signori che debbono riparare l’ascensore”, ci consigliò lui.
Fatti, insomma, questi tre piani a piedi, arrivammo infine nell’antro ove passarono tutte le genti che dell’arte del non farsi i cazzi loro avevano fatto il loro mestiere. L’emozione, fattasi brivido freddo, pervase il nostro corpo. Ci attendeva, però, la prova più difficile: la conta dei giusti versamenti in vil denaro alle casse dell’Ordine suddetto. Arrivò un signore in tutto e per tutto simile al ragionier Filini, ma di ventotto anni e stagista, con una fascia nera al braccio in quanto quel giorno, venerdì 13, era scomparso il loro storico legale (nonché amato volto della trasmissione televisiva “I fatti vostri”). Contò le nostre ricevute e per la mia compagna di avventura la questione risultò tutto in regola (“Dunque, può passare in cassa per procedere con una ulteriore donazione spontanea di euro duecento”). La maledizione dei numeri decimali, invece, che mi perseguitava da tempo, mi colpì in pieno viso anche quel giorno. Risultavano mancanti 18 euro e dieci centesimi e perciò mi toccava rimediare all’errore del fato e ripresentarmi il lunedì successivo, affinché egli potesse ammettermi all’esame che avrebbe fatto di me una persona sicuramente migliore. Tutto quello che potei dire, per esprimere il mio dissenso, fu: “NOOOAOAOAOAOAO (cit.)”.