Foto da Star Walls, un poco modificata da me con paint
Certe mattine d’inverno a sud di Roma iniziano con un cielo azzurro che si srotola sopra la testa e l’odore del mare a pochi chilometri. T’infili in macchina e la radio passa solo canzoni in Sol maggiore; sulla SS 148 Pontina non c’è traffico, neanche ad altezza Spinaceto, e allora, mentre imbocchi l’uscita a destra, ti viene automaticamente da pensare «vieni con me amore sul Grande Raccordo Anulare». Oggi è ‘nu juorno buono, mentre come un salmone risali la striscia d’asfalto a tre corsie, superando in ordine Pisana, Aurelia e Boccea. Finché, ad altezza Trionfale, imbocchi il primo passante a nord-ovest, fattispecie di buco spazio-temporale, che ti scaglia all’improvviso contro un muro di spessa, fitta e gelida nebbia che t’informa che infin sei giunta a #romanord. La radio passa una canzone in Si minore sul fallimento di un amore. Roma non è una città fatta di quartieri – penso – Roma è la raccolta a fascicoli di un libro d’antropologia.
Certe mattine #romanord è radiosa come Silent Hill.
Certe mattine #romanord è solare come Twin Peaks il giorno del ritrovamento del cadavere di Laura Palmer.
Spesso il male di vivere ho incontrato, guarda caso era nei pressi di #romanord.
Cerco parcheggio e solo un romano può cogliere con precisione tutta la drammaticità di questo cercare. Cammino a passo svelto sul marciapiede, che puzza di piscio ogni giorno dell’anno, e nel tragitto incrocio lo sguardo delle colf filippine, che portano a passeggio i cani degli altri. Non si capisce mai se sono più infelici loro o i cani. Poi da sinistra sbuca all’improvviso Garrison, in pigiama e col sacchetto della monnezza in mano. I vip sono i fantasmi di #romanord: tutti li guardano passare facendo finta di non vederli. Un atteggiamento che presto imparano anche i pendolari di #romasud. Si punta il dito per indicare dov’è il vip e ci si lascia andare ai commenti solo in presenza di amici molto fidati, mai con altra gente di #romanord.
I vip fuori dalla televisione sono più alti, più bassi, più magri, più gonfi, più finti. Sciatti. Scoloriti. Ectoplasmi. Ecco Magalli che svolta a destra ed entra nel Trony, quello passato alla storia perché all’apertura si scatenò un parapiglia di gente che s’accattava almeno tre televisori schermo piatto a testa, sotto lo sguardo di certi romani de Roma in canotta bianca che guardavano lo spettacolo all’angolo della strada, con le braccia incrociate e i bicipiti scoperti e le croci celtiche tatuate.
Ecco che spunta Aldo Montano, rigorosamente in ciavatte e pantaloncino bianco, ecco la-figlia-della-contessa-De-Blank seduta sulla soglia del portone dell’estetista, che si mordicchia la pellicina dell’indice. Ecco Naike Rivelli, che entra ballando (davvero) in un locale segnalato anche dalla prestigiosa guida turistica «Da Ponte Milvio a Vigna Clara, tutti i posti della mafia romana». Ecco Fiorello che parcheggia lo scooterone sulle strisce pedonali. Ecco Antonello Venditti, uno dei pochi la cui versione ectoplasmatica corrisponde a quella televisiva, con l‘abbronzatura, gli occhiali da sole, la camicia bianca fuori dai jeans. Poi scompare probabilmente passando attraverso un muro del Dakota Building di #romanord, Villa Brasini.
Una volta, all’ora dell’aperitivo post giornata di lavoro, in un altro di quei locali sempre segnalati nella prestigiosa guida di cui sopra, era comparso un pittore, francamente più Pigneto che #romanord. Realizzava ritratti agli avventori al modico costo di uno spritz. L’incauto artista s’arrischiò a chiedere a una bionda con le labbra turgide e i leggings neri se poteva fare il ritratto anche a lei. Quella rispose: «Come ti permetti, guarda che io sono la moglie di un famoso tennista!». L’aneddoto finisce così, tra la costernazione generale.
Un’altra volta da Mondi, storica pasticceria con gli interni ancora anni ’80 e nessuna velleità hipster, una filippina normalizzata #romanord in attività da almeno cinquant’anni, stava comprando con gli occhi un po’ lucidi un vassoio di paste «per il compleanno del Principe». Ha detto alla commessa: «Sì, il vassoio più piccolo. Sì, cannoli. No, ne metta solo tre. Forse lo verrà a trovare il figlio». Un’ombra improvvisa è passata sul volto dell’anziana filippina, poi è uscita dalla pasticceria e s’è avviata lentamente col suo piccolo vassoio in direzione Ponte Milvio. Cosa ne sa della vera aristocrazia questa gente che si gode un Trapizzino in pausa pranzo, sbrodolandosi con l’olio al gusto trippa?
Davanti al chioschetto di Ponte Milvio passa uno sciame di minorenni dai culi sodissimi fasciati in leggings neri. Le riconosci subito, hanno i lunghi capelli biondo shatush al vento, l’eterno broncio della ninfetta, gli occhi sgranati di cerbiatto davanti ai fari di un suv. In lontananza, si staglia su Ponte Flaminio la minacciosa scritta Io e Te Tre Metri Sopra Il Cielo. Ma su Ponte Milvio non ci sono più i lucchetti e le chiavi da gettare nel Tevere, ci sono solo le mani di uno che potrebbe essere suo padre, ma se è suo padre perché ha le mani sul suo culo?
Faccio il marciapiede al contrario mentre le strade si riempiono di macchinette elettriche in doppie e triple file ben gestite dai parcheggiatori abusivi. Passo davanti l’estetista, la piccola De Blank non c’è più. Saluto Gessica (nome non del tutto di fantasia), l’estetista, che cordialmente ricambia. La prima volta che sono andata lì a farmi la ceretta, con lo sconto aziendale, ci sono andata come se avessi dovuto fare un reportage antropologico. M’aspettavo un’estetista alta e magra, come tutte a #romanord.
E bionda e con le unghie ricostruite, come tutte a #romanord.
E le borchie che in quel periodo si portavano, a #romanord.
Invece, Gessica aveva un camice semplice bianco, un sorriso cordiale, la coda bassa. Le ho chiesto a metà della seduta, così all’improvviso da farla sussultare, «ma tu sei di #romanord?». Ha alzato lo sguardo dal mio inguine, lo sguardo impaurito di chi forse era stato sgamato.
Ha risposto: «No, abito verso l’Eur».
Ho capito.
Ho risposto: «Davvero? Io abito a Provincia di #romasud».
Le si sono accesi gli occhi, è ritornata in lei : «Ma dai! Anche io abito a Provincia di #romasud!».
Ci siamo scambiate da quel giorno dei piccoli cenni camerateschi con la testa ogni volta che c’incontravamo.
Riprendo la macchina da dove l’avevo lasciata la mattina. Rifaccio all’indietro Corso Francia, la Flaminia, imbocco il Raccordo. M’abbaglia il sole che tramonta in lontananza sulla costa laziale del mar Tirreno.