Ottobre 31st, 2015 — 9:30am
Chissà perché ogni tanto mi scambiano per fashion blogger. Non lo sono e neanche mi piacerebbe esserlo, in questo universo. Se si potessero vivere contemporaneamente più vite magari sì, d’altronde se la passano bene. Non mi impegno più di tanto a trovare capi speciali e non risparmio tre mesi di stipendio per comprare la borsa firmatissima dei miei sogni. Il mio shopping preferito è da H&M, il mio armadio è la fiera dell’abito blu, del pantalone nero, del vestito a pois, delle magliette a righe. Niente di troppo originale. Però, amo le borse e adoro le scarpe; una Chanel 2.55 e delle décolleté di vernice nera Max Mara ce le ho pure io. Felicità è: trovare una Tiffany key nel Flohmarkt di Berlino; un cappottino rosso col 50% di sconto da Zara.
Saperne di moda e di vestiti non è cosa semplice. Bisogna conoscere le stoffe e i bottoni, i tagli e i materiali. Studiare gli stilisti e le loro collezioni. I teschi di Alexander McQueen non sono solo dei teschi. Jeremy Scott disegna i vestiti ispirandosi al fustino del Dash e li mette addosso a regine dello stile che non hanno mai fatto una lavatrice in vita loro. Guardatemi! Sto battendo il sistema con le sue stesse armi, sembra dire. L’estetica non si oppone al contenuto.
Volevo raccontarvi dell’Atlante degli abiti smessi, libro di Elvira Seminara, una che lo sa che i vestiti non sono solo vestiti. Non c’è differenza tra le pieghe degli abiti e della memoria e sui tessuti si dipanano le trame della vita. Ci sono i vestiti nati sbagliati (che mal si intonano alla realtà), i vestiti mimetici (che si adeguano al contesto), i vestiti sereni (che infondono un senso di appartenenza a un tempo comune), i vestiti coi loro segreti. Osserviamo con troppa poca attenzione gli armadi e i cassetti, eppure lì c’è la mappa per orientarsi dentro se stessi e fuori, nel mondo, come sa la protagonista del libro, una mamma, che la tratteggia con pazienza per sua figlia. Siamo fatti così, qui è la superficie, questo è l’abisso. La scrittura di Elvira Seminara la invidio come si può invidiare un vestito azzurro di stoffa leggera che cade a pennello su quella ragazza che attraversa la strada. Elegante, impeccabile e con quel divino gusto rétro.
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Dicembre 31st, 2013 — 4:00pm

Foto di Francesco Mosca



Miley Cyrus – We Can’t Stop ♫




Lana del Rey – Video Games ♫

Poche parole. Musica solo da cattive ragazze del pop.
E dalle campane della cattedrale.

Gwen Stefani – What you waiting for ♫ #2014
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Maggio 2nd, 2013 — 9:12pm

Il primo ateo l’ho incontrato in terza liceo ed era era una compagna di classe che se la tirava perché lei era di Frosinone e noi di Veroli (FR). Era una nuova: i suoi genitori si erano trasferiti dalla grande città al paesino e aveva manifestato il suo essere atea uscendo dalla classe durante l’ora di religione. Quel giorno aleggiò in classe un misto di curiosità e sconcerto anche perché durante l’ora di religione l’attività didattica più impegnativa era provare i passi di danza del balletto di fine anno, sulle note di Backstreet’s Back dei Backstreet Boys. Lei, invece, cosa andava a fare al di fuori della classe? E dove andava? Non si è mai capito bene ma tanto dopo due lezioni saltate, alla terza rimase in classe pure lei, a provare il balletto. La professoressa del liceo, una sessantottina curiosa, hippy, trascendentale e cartomante provò a intavolare una discussione sul tema “Dio c’è?”, interpellando l’atea frusinate: non ricordo nessun tipo di argomentazione, tranne che ci teneva a sottolineare che lei era una cittadina e noi i paesani.
Non ricordo altri atei degni di nota finché non ho conosciuto una collega, passata alla storia perché si definiva “un po’ rock” in quanto fan di Luciano Ligabue. Ricordo che riflettei sul nesso tra Ligabue e ateismo ma ancora non ne sono venuta a capo. La fede nell’assoluto Nulla della collega vacillò quando le chiesi se credesse nell’anima. A quella, un po’ ci credeva.
La religione, il credere o non credere in Dio è oggi come oggi un tema spinosissimo, soprattutto perché rispetto a due decenni fa è meno, come dire, mainstream. Gli atei di oggi o sono una rivisitazione della figura della mia ex compagna di classe, o sono persone molto arrabbiate, verso la Chiesa Cattolica Apostolica S.p.A., anche se il nuovo CEO è piuttosto simpatico. La rabbia di solito non è dovuta a situazioni personali ma ad una serie di motivi storico-politico-sociali spinosetti, tipo l’aborto, tipo l’omosessualità, tipo l’eutanasia, che vengono dibattute al bar come a Ballarò. Hai detto niente. In ogni caso, non vedo dialogo. Vedo prese di posizione ideologiche. Vedo politica. Vedo umanità.
Ma un discorso ontologico genuino non se lo fa nessuno? E’ così difficile trovare qualcuno con cui dibattere su argomenti del tipo “ma gli Ittiti cosa ne pensavano di Dio?”, “il panteismo: è un sì o un no?”, “nesso tra litanie e lettura delle carte”, “Gesù era rock o era pop?”. La risposta è dentro di te.
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