Budapest Grand Hotel di Wes Anderson – Recensione
M’informano gli Internet che la percentuale di recensioni positive dell’ultimo film di Wes Anderson è del 92%. Di conseguenza, essere travolta dal piacere di trovarmi nel restante 8%; è il brivido della nicchia, è il fascino dell’intercapedine, è la leggendaria fessura di cui Wes Anderson vorrebbe essere il Re. Prendo una recensione positiva a caso, quella dell’amico Bruce Ingram del Chicago Sun-Times: lo definisce un crowd-pleaser (un alletta-popolo), facendogli fallire di colpo l’obiettivo di essere un regista alternativo. Me ne compiaccio.
Ma di cosa parla questo Hotel Rimini Miramare, del regista nato a Houston, Texas? Come per gli altri film, si tratta di una riflessione narrata con estrema perizia sulla carta da parati vintage, con digressioni astratte ma pregne di significato sulle poltrone in velluto rosso, le moquette polverose, le scatoline rosa con nastrino verde, le balconate rococò. Tutt’intorno, svariati personaggi, venuti fuori dal generatore automatico di personaggi di Wes Anderson, esclamano continuamente la seguente spiritosaggine: «Europa, sei stramorta, però sei così terribilmente carina».
La sala del cinema Olimpia ride. Io mi sento come quella volta che Elisabetta Canalis disse «Gentrifichèscion» al Festivàl di Sanremo. Vicino a me, uno con la faccia da autore Rai dorme dal decimo minuto. Lo capisco e nel frattempo faccio il calcolo mentale delle persone che domani metteranno come loro nuova cover di Facebook, la facciata rosa del Budapest Grand Hotel, che a me ricorda terribilmente la casa dei Sogni di Barbie con l’ascensore.
Comunque è vero che i film di Wes Anderson sono intrisi di malinconia. È lo stesso mal sottile riscontrabile nelle foto su Tumblr dei parchi giochi statunitensi alla Fiera dell’agricoltura del Midwest. Vi lascio con la certezza che quando i vostri amici chiederanno «allora, com’era il film?», risponderete: «Carino».
Comment » | Anconvescional Marketì, I read the news today oh boy!